Recensioni Librarie

L'astrologia in Italia all'epoca di Galileo Galilei (1550-1650)


Pierluigi Pizzamiglio

edizioni: V&P Università 2004 pagine 286+XXII € 25,00


L’argomento specifico di questo testo si intende meglio dal sottotitolo, che recita Rassegna storico–critica dei documenti librari custoditi nella Biblioteca “Carlo Viganò”. Quindi non si tratta né di un saggio specifico né di una rassegna esauriente sullo stato dell’astrologia in Italia all’epoca indicata e di tutti gli autori più significativi. Nondimeno il libro riveste un qualche interesse in virtù della ricchezza dei testi presenti nella prestigiosa biblioteca di storia delle scienze “Carlo Viganò”, sita presso la sede di Brescia dell’Università del Sacro Cuore. L’autore del libro, Pierluigi Pizzamiglio, ne è il direttore, oltre che insegnante di Storia della matematica nella predetta università. In linea generale il testo si sviluppa nello schema seguente: in ordine cronologico sono esaminati e brevemente descritti i volumi presenti in biblioteca a partire dal 1550 (L'Acerba di Cecco d'Ascoli) fino al 1650 (Coelestis Philosophia di Placido di Titi), con una breve esposizione introduttiva di quanto stabilito dal Concilio di Trento (1545–1563) in merito alla condanna della pratica dell’astrologia giudiziaria e dell’indice dei testi proibiti. Di ogni volume Pizzamiglio consegna al lettore un riassunto del suo contenuto, un breve apparato critico e note biografiche sull’autore. Un testo per specialisti, dunque, o per appassionati di storia dell’astrologia. E tuttavia anche il lettore meno esperto può reperire motivi di un certo interesse, sempre che abbia a cuore i fondamenti dell’arte. Infatti, nonostante la formazione prettamente scientifica di Pizzamiglio – che non risparmia frecciate all’inconsistenza delle predizioni dell’astrologia cattolica – il dibattito tra le varie correnti di pensiero tra gli autori ed i loro travagli filosofici e dottrinari sono ben delineati e rendono l’idea della temperie del tempo. Travagli derivanti sia dalle rivoluzionarie teorie cosmologiche di Kopernigk, Kepler e poi di Galilei, sia dalle bolle pontificie che condannavano alla pena di morte coloro che praticavano l’astrologia genetliaca, sia dalla necessità propriamente dottrinaria di liberare l’arte da superstizioni e dalle impurità immessevi, a loro dire, dagli autori arabi e medievali. Ampie le discussioni sulle comete, che la maggior parte degli autori ancora riteneva – con Aristotele – esalazioni terrestri causate dell’eccessiva secchezza dell’aria, e come tali annunciatrici di siccità, sismi e calamità varie, ma anche sulla necessità di circoscrivere l’apparato teorico dell’astrologia alla sola cattolica, giacché esclusivamente gli eventi generali – ad esempio l’andamento meteorologico, i raccolti, le guerre, i mercati, le epidemie – subiscono l’influsso degli astri, che ne influenzano così parzialmente lo sviluppo. Nell’individuo si ammetterebbe solo l’esercizio della iatromatematica, ossia della medicina connessa allo stato celeste. Naturalmente molti vi si opposero, negando che nell’essere umano – per quanto dotato di libero arbitrio e soggetto comunque ai decreti di Dio – gli astri non avessero nessun altro potere. Ma non era consentito loro di esprimere una tal opinione apertamente senza rischiare la fine di Giordano Bruno e di Cecco d’Ascoli, con quel che ne consegue. Sono presenti in Biblioteca, e quindi in questa rassegna, gli autori più significativi ed ancor oggi noti come Gerolamo Cardano, Giovanni Antonio Magini, Andrea Argoli, il ricordato Cecco d’Ascoli, Luca Gaurico, Francesco Giuntini, per finire in bellezza, come detto, con Placido di Titi. Invero ve ne sono altri che meriterebbero un poco più di notorietà anche ai giorni nostri, come Giuseppe Moleti, Giovanni Antonio Roffeni, Andrea Grazioli. Non sono poche le felici sorprese che suscitano attenzione nell’appassionato. La maggiore è costituita da una seria ed imparziale esposizione circa il coinvolgimento proprio di Galileo Galilei nell’astrologia: Pizzamiglio non tace né nasconde nulla sull’argomento. Anzi, riporta anche alcuni brani della risposta dello scienziato pisano a monsignor Pietro Dini, che gli chiedeva conto sull’eventuale influsso dei quattro satelliti di Giove, appena scoperti da Galilei, sul mondo sublunare. Eccone uno, che ben esemplifica il pensiero del Galilei astrologo: Lascinsi dunque ai corpi celesti più vasti le operazioni più grandi nelle cose inferiori, come le mutazioni delle stagioni, le commozioni de i mari e de i venti, le perturbazioni dell’aria, et (se hanno operazioni sopra di noi) le costituzioni e le disposizioni del corpo, le generali qualità e complessioni, et simili altri influssi; ché non mancheranno in terra mille e mill’altri particolari effetti da riferirsi a più sottili et spirituali influenze da quelli che vorranno in simili curiosità occuparsi. Un messaggio sul quale molti colleghi contemporanei avranno di che riflettere, ammesso che siano capaci di scuotersi dalla pigrizia intellettuale che li contraddistingue in sì gran e trista copia. Per quanto riguarda la presentazione del Commento al Tetrabiblos di G. Cardano avremmo gradito un’esposizione meno superficiale; così come appare lascia l’impressione che Pizzamiglio non si sia preso a briga di leggere l’intero testo. Il che sarebbe comprensibile date le finalità del libro ed i molteplici uffici a cui egli è richiamato, ma a noi – amanti della verità – non sarebbe spiaciuta l’ammissione. Per altri autori invece è ben più circostanziato, tant’è che, come nel caso di Placido e di Argoli, cita anche testi o non presenti in Biblioteca, oppure editi negli anni successivi al 1650. Sebbene, come già riferito, Pizzamiglio non risparmi malignità verso i pronostici errati oppure troppo generici per esser presi in considerazione, con onestà ammette quelli che si sono avverati. Traiamo dal testo un paio di esempi: – lo scettico Giorgio Ragusi amava farsi beffe circa il pronostico della sua morte, congetturato da un astrologo di cui non si dichiara il nome; mal gliene incolse, giacché schiattò a 43 anni nel 1622, così come previsto (pag. 170); – Papa Urbano VIII era vittima dei pronostici sulla sua morte che galvanizzavano e quindi impegnavano non poco i cardinali interessati alla sua successione. Di conseguenza vietò la pratica dell’astrologia genetliaca, ma vi fu il domenicano Padre Raffaele Visconti che predisse già nel 1630 l’anno della scomparsa del pontefice, il 1644 (pag. 222). E così fu. Il libro si chiude con le considerazioni finali dell’autore. Riportiamo le ultime righe: In conclusione, l’astrologia in epoca galileana sembra man mano costituirsi come una forma peculiare di significazione umana, che, se pur ricorre a grammatiche e a linguaggi ora di tipo scientifico ora di stile filosofico ed ora di slancio religioso, non per questo riesce a sottrarsi all’ambito genericamente antropologico e propriamente simbolico–culturale, o folcloristico che dir si voglia. Ecco un eccellente modo per chiudere male un testo che vanta molti pregi. Nessuno s’è mai sognato di sottrarre l’astrologia all'ambito genericamente antropologico, giacché è sempre stato chiaro per chiunque che la ricaduta degli influssi astrali non possono che esser studiati e valutati primariamente sull’essere umano, pur riconoscendo che ancor prima gli effetti si manifestano nell’aria, nel terreno e nelle acque. Che cosa poi ciò abbia a che fare con il simbolico–culturale non c’è dato di sapere. Ed ancor meno si capisce come l’antropologico ed il simbolico–culturale siano così facilmente assimilabili al folcloristico, qualsiasi sia il significato che si vuol attribuire al termine. Personalmente lo intendiamo in tutta la sua accezione positiva, ossia di sapienza e cultura popolare che in ogni territorio si tramanda da generazione in generazione. Ma francamente, anche a volerla vedere in questo senso, la conclusione di Pizzamiglio ci pare del tutto arbitraria e, quindi, discutibile. Peccato, ma dai seguaci dell’epistemologia popperiana ci aspettiamo, senza stupircene, questo ed altro. giancarlo ufficiale