Andrea Albini
ed. Odradek 2010
€ 18,00
Il sottotitolo di questo libro ben ne illustra il contenuto: Il declino scientifico del discorso sulle stelle da Copernico ai giorni nostri.
Dico subito che a conti fatti si tratta di un bel testo, documentato e sufficientemente oggettivo, considerata anche la formazione dell’autore. Albini, non ancora cinquantenne, lavora presso l’Università di Pavia in qualità di tecnico addetto ai materiali per l’ingegneria; si occupa di divulgazione scientifica collaborando con quotidiani e riviste. È consulente tecnico e scientifico del CICAP, e ha scritto già altri libri, tra cui Galileo tra oroscopi e cannocchiali (ed. Avverbi, 2008), dedicato al rapporto mai ben definito di Galilei con l’astrologia. Questo testo ne costituisce, in un certo senso, l’ideale prosecuzione. È indiscutibile che nel lungo lasso di tempo preso in considerazione dall’autore l’astrologia conosce il suo declino, dal quale è ancora dubbio se si sia ripresa, stando a quel che giornalmente ci capita di leggere nelle riviste cosiddette specializzate del settore. Sebbene sia chiaro fin dall’inizio da che parte si schieri Albini, nondimeno la documentazione prodotta ha il preciso scopo di mostrare le cause di una tale crisi: il crollo della cosmologia e, quindi, della filosofia naturale sulla quale per quasi duemila anni si erigeva il suo edificio. E sebbene molti astrologi tra il XVI ed il XVII secolo fossero convinti sostenitori del sistema eliocentrico, nondimeno il risveglio dell’assopito spirito critico degli esseri senzienti prese giustamente di mira la proliferazione ancora esistente tra le classi sociali sia borghesi che proletarie di almanacchi e previsioni sparse che il più delle volte si rivelavano fasulle, a dispetto della sicumera dello stile degli estensori di turno. Non tace l’Albini lo stretto rapporto che legava un Rheticus, un Tycho Brahe, un Keplero, un Giovanni Antonio Magini, un Gerolamo Cardano all’astrologia, diversamente da tanti altri autori che tendono a nasconderlo sotto il tappeto delle convenienze, ed anzi in più pagine descrive lo sforzo di alcuni di essi nel tentare di riformarla, di consegnarle fondamenta astronomiche e teoretiche in generale ben più solide e precise. Ma la china discendente era ormai presa, e l’Illuminismo si fece beffe della nostra disciplina, a cominciare dagli autori dell’Encyclopédie di Diderot. In verità l’autore delle voci astrologiche di quell’opera, Jean le Rond d’Alambert – fisico, matematico e filosofo membro dell’Accademia delle Scienze di Francia – non è che fosse un totale avversatore della nostra disciplina, ma ne salvava le implicazioni meteorologiche e mediche, pur riconoscendone ancora l’insufficienza teorica e quindi pratica. È preziosa la consultazione di queste voci, dacché s’apprende che già da allora, ad esempio, si teorizzava un’astrologia eliocentrica, e alcuni utilizzavano non soltanto gli aspetti della tradizione (i cosiddetti maggiori), ma anche quelli introdotti da Keplero (quintile e biquintile) e i semisestili, i semi ed i sesquiquadrati, ecc.
Il fondo poi fu toccato, come d’altra parte afferma anche Kocku von Stukrad in Storia dell’Astrologia (Oscar Mondadori), quando l’astrologia cadde nelle mani di teosofi e poi di veri e propri mercanti, che ne stravolsero il senso. Così depauperata, ferita, quasi inerme fu raccolta dai riformatori del XX secolo, che mescolando la psicologia del profondo di Carl Gustav Jung con discipline spirituali di varia provenienza ne hanno fatto quel che abbiamo sotto gli occhi da mezzo secolo a questa parte. E non è un bel vedere, ahinoi.
Ecco, quando si chiude questo libro è inevitabile riflettere sulla questione: è terminato questo declino? Sarà mai possibile uscire dalle secche? Se da Copernico e Galileo in poi non si può più definirla una scienza – almeno se ci si riferisce all’epistemologia corrente di strettissima osservanza popperiana – e meglio le si addice l’appellativo di arte, così come peraltro voleva Claudio Tolemeo, avrà comunque la possibilità di riappropriarsi di un’utilità pratica a beneficio non dico del vivente nel suo complesso, ma almeno degli esseri umani? E se sì, da cosa bisogna ricominciare e poi eventualmente come proseguire? Non mancano certo i fermenti in questo senso, ma, bisogna pur dirlo, la strada è lunga e piena di insidie. Non ultime quelle della moda. Per essere a la page alcuni autori contemporanei si stanno improvvisando esperti e perfino esegeti dell’astrologia tradizionale, seminando di incredibili assurdità libri e riviste, nonché imperversando similmente presso gli incauti uditori che assistono alle loro conferenze o, peggio, ai loro seminari.
Tornando al volume di Albini, esso si fa apprezzare anche per le sue appendici: un paio di burle giocate a danno dei creduloni e soprattutto di coloro che li inganna(va)no; esilarante quella tirata da Jonathan Swift al famoso astrologo inglese John Partridge, che da sola merita l’acquisto del libro. Lo chiude una postfazione di Giorgio Galli, politologo di dichiarate simpatie progressiste che più volte ha preso le difese dell’astrologia, proponendo di integrarla nel patrimonio culturale d’occidente. Egli non tralascia di sottolineare qualche sua divergenza d’opinione con l’autore, sebbene nel complesso giudichi il suo sforzo prezioso e meritevole, com’è giusto che sia. Non so se tale postfazione è stata proposta oppure condivisa da Albini o se l’abbia subìta per volere dell’editore: nelle prime due ipotesi andrebbe a suo onore, nella terza esso andrebbe riconosciuto all’editore. Che a sua volta merita due parole. Odradek segue una precisa ispirazione ideologica marxiana (e sa il cielo quanto sarebbe essenziale in tempi di crisi economico–finanziaria–sociale globale come questi ridiscutere la filosofia del pensatore comunista tedesco – e lo dice uno che marxista non è mai stato –), e perciò rigore, onestà intellettuale, ricerca di strumenti alternativi di pensiero, critica ed azione costituiscono le sue linee guida. E per questo merita rispetto. C’è un però, almeno per quant’è del volume di cui sto trattando: una maggior cura editoriale avrebbe notevolmente giovato al testo ed alla sua comprensione. Gli errori sono davvero tanti, probabilmente dovuti a delle correzioni incomplete, ma l’idea di trasandatezza si insinua man mano nel lettore. Che ciò possa dipendere direttamente dall’autore è una faccenda secondaria, perché comunque un controllo qualcuno, prima della pubblicazione, è pur necessario che lo compia.
E chiudiamo con una nota dolente, che però non dipende né da Albini, né da Odradek. Sul sito dell’editore c’è un rimando ad una recensione del libro apparsa su La Stampa nel gennaio 2011. In essa l’autore, di cui taciamo il nome per umana pietà, che in tutto l’articolo vuol fare lo spiritoso, incorre in due fesserie sesquiperali: 1) afferma che Keplero faceva “oroscopi” ma non ci credeva, e con ciò il recensore dimostra di non averlo proprio letto il libro di Albini; 2) apprendiamo, trasecolando oltre ogni dire, che l’astrologia giudiziaria era impiegata dai giudici greci nel corso delle vertenze loro sottoposte. Ecco, lo stesso Swift non avrebbe saputo far di meglio. Certo è che lo sforzo di Albini e di Odradek avrebbe meritato ben migliore sostenitore. E meno male che c’è Giorgio Galli ...
giancarlo ufficiale